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Arizona. Heaven and Hell!

Dall’Inferno delle strade infuocate del deserto del Mohave al Paradiso delle terre sacre degli indiani Navajo, passando dalla Route 66: ecco un viaggio per andare in sella a una moto nel cuore del mito americano on the road.

Può sembrare difficile immaginare un viaggio in moto che in dieci giorni porti dritto al cuore dell’America on the road attraversando alcuni dei luoghi più mitizzati dai biker di tutto il mondo: Las Vegas, Grand Canyon, Monument Valley, la Route 66… Eppure e così: bastano 7 giorni in sella ad una moto e alcune delle meraviglie del pianeta potranno essere immortalate dall’obiettivo del vostro cuore e far parte del vostro bagaglio di esperienze.

Da Las Vegas, la capitale del gioco e di tutti i vizi, iniziare il nostro percorso. Se è vero che Vegas offre il meglio di sé di notte (non dimentichiamoci che Las Vegas è Sin City, la città del peccato), durante il giorno si può comunque curiosare di qua e di là, andando a vedere hotel celebri e celebrati come il Venetian, Il Bellagio, il Luxor o il Caesar’s Palace con tutte le loro attrazioni. Oppure, si può andare ad ammirare la pepita più grande del mondo nei locali del Golden Nugget, sulla Fremont Street, aspettando magari quella che viene definita Experience, uno show luminoso prodotto dall’accendersi a tempo di musica di milioni di lampadine piazzate su una volta artificiale che copre il corso. Una volta da quelle parti, è d’obbligo salire sulla vertiginosa Stratosphere Tower, dalla quale si gode di una magnifica vista sull’intera città.

Ma Las Vegas è soprattutto la base di partenza del viaggio negli spazi sterminati dell’Ovest. Lasciata la città e attraversata la Hoover Dam, la gigantesca diga sul lago Mead che garantisce a Las Vegas il suo fabbisogno di energia elettrica, si prosegue verso Kingman tagliando l’infuocato deserto del Mojave. Arrivati a Kingman si inizia dunque ad avere a che fare con le vestigia più importanti della Historic Route 66, the Mother Road, la madre di tutte le strade. La ferrovia della mitica compagnia Santa Fe da quel momento diventa una compagna di viaggio pressoché costante.

Attraversata Kingman, sempre sulla Historic Route 66, alcune soste sono d’obbligo: come ad Hackberry, la città fantasma e stazione di servizio che riporta indietro nel tempo; ovSeligman, cuore della Mother Road, con il celebre Angel Delgadillo a fare gli onori di casa del suo store-barber’s shop. Una figura mitica, simbolo stesso della Route 66, autentica memoria storica della 66.
Dopo Seligman, si lascia la 66 per entrare nella Intestate 40. Le moto sfidano i giganteschi trucks fino a raggiungere Williams, la porta del Grand Canyon. Avvicinandosi alla cittadina, il paesaggio cambia, passando dalla prateria ad una ricca vegetazione di tipo montano (quella della Coconino National Forest), accompagnata da un intenso profumo di legna e di conifere. A Williams, autentica home town della Route 66, ci si può fermare per la notte. Il piccolo centro, nel quale il tempo sembra essersi fermato, è tranquillo e accogliente. L’ideale per fare sosta e gustarsi una bistecca e ottima birra alla Wild West Junction, dove si può anche godere di ottima musica live.

L’indomani la strada punta verso Nord. È in quella direzione che si raggiunge il bordo meridionale del Grand Canyon. La South Rim Drive, che costeggia il canyon, offre una serie di spettacolari punti di osservazione panoramici. La vista è mozzafiato e lascia con il groppo in gola, talmente grande è l’emozione. Servono parecchi minuti per riaversi e per avere l’esatta percezione delle dimensioni di questa meraviglia della natura, frutto dell’azione di erosione del Colorado e degli agenti atmosferici. La luce del tramonto accende una emozionante tavolozza di colori, il giusto prologo allo spettacolo in programmazione al Grand Canyon Theater, a Tusayan: un filmato sulla storia del canyon e delle esplorazioni che vi si sono susseguite. La particolarità è che la proiezione avviene su schermo IMAX, con un livello di definizione delle immagini e di coinvolgimento dello spettatore tale da provocare un senso di vertigine in alcuni dei passaggi più arditi. E on’ottima bistecca, dopo una giornata ricca di emozioni, è quanto di meglio si possa chiedere per andare a dormire con la sensazione di aver vissuto una giornata davvero indimenticabile.

Il mattino dopo, lasciato il Grand Canyon in direzione est, rotta verso la Monument Valley. Ma prima, il Trading Post di Cameron aspetta i suoi visitatori con una quantità incredibile di oggetti e di prodotti di artigianato indiano. Una sosta da non mancare. Siamo ormai alle porte della riserva dei Navajo, Dineh, Il Popolo, il vero nome dei Navajo nella loro lingua). Una volta a Kayenta, infilata la 163, ben presto si scorgono segni inequivocabili dell’imponenza della valle sacra dei Navajo. L’arrivo scatena le emozioni più violente. In sella alla moto ci si ritrova in piedi, attaccati al manubrio, a urlare di gioia, o ad allargare le braccia nella incredulità più disarmante… Giusto il tempo di fermarsi e scrollarsi la polvere di dosso, è tempo di saltare a bordo di un pick-up delle guide Navajo. Per capire fino in fondo che cosa sia la Monument Valley, infatti, la cosa migliore è percorrere la pista sterrata di circa 17 miglia che si snoda ai piedi di mesas, buttes e pinnacoli. Gli spazi sterminati, la sacralità delle guglie, i colori delle rocce, i canti dei Navajo, ma anche il senso di morte trasmesso dallo sfaldarsi delle rocce, provocano nel visitatore un inarrestabile accavallarsi di suggestioni. E quando si arriva all’Artist’s Point, l’immensità della vista lascia senza parole. Tornano alla memoria le immagini più celebri fra le tante girate nella valle sacra dei Navajo, quelle che John Ford realizzò per Stagecoach, Ombre Rosse, forse la pellicola più famosa del regista americano (non a caso, uno dei punti segnalati lungo la pista è proprio il John Ford’s Point). Al di là della retorica tutta holliwoodiana di quel film, quei guerrieri all’inseguimento della diligenza, lanciati al galoppo e al tempo stesso intenti a caricare il fucile, sono sequenze di una forza dirompente.
Proseguendo verso nord sulla 163, ad un certo punto occorre fermarsi e voltarsi indietro. La natura offre agli occhi umani uno degli spettacoli più maestosi che si possano immaginare: una strada infinita che si perde all’interno della valle, fra la maestosità delle guglie. Indimenticabile, come immancabile la foto.

Dopo la Monument Valley, l’indomani la strada riporta verso sud, dove si trova uno dei luoghi che hanno maggiormente segnato la storia della nazione Navajo: il Canyon de Chelly. Un luogo di straordinaria bellezza come appare da alcuni dei punti panoramici ricavati lungo le Rim Drives, teatro però di drammatiche vicende che opposero i Navajo che abitavano il canyon alle truppe del generale Kit Carson, con l’assedio degli indiani all’interno del canyon, la devastazione di tutti i loro insediamenti e la deportazione dei superstiti nel New Mexico. E ancora oggi il Canyon de Chelly è popolato dai discendenti di quelle tribù e le loro abitazioni sono visibili scendendo al fondo del canyon, facendo bene attenzione a evitare le terribili sabbie mobili che si incontrano lungo il percorso.

Lasciato il Canyon de Chelly, l’Arizona orientale offre lo spettacolo della Petrified Forest e del Painted Desert. Arrivando a pomeriggio inoltrato, si approfitta della luce infuocata delle ore che precedono il tramonto. Risaltano così al meglio le varie gradazioni metalliche che fanno assumere alle rocce del Deserto Dipinto i colori più disparati, dal rosso al blu, dal bianco al verde. Le 28 miglia della strada che attraversa il parco portano a contatto con gli insoliti tronchi d’albero pietrificati dell’omonima Forest.
La giornata volge al termine; guidando verso un accecante sole del tramonto, c’è giusto il tempo di arrivare a Holbrook, sonnacchiosa cittadina sulla Route 66, per finire la giornata. Un posto nel quale il tempo si è fermato. Del tutto naturale, dunque, parcheggiare la moto davanti a un teepee in muratura, la stanza per la notte… Mai dormito in una tenda indiana? Ecco, qui si può… Anzi, si deve!

Il giorno successivo, la strada da Holbrook conduce di ritorno a Kingman. Sul percorso vale la pena fermarsi al Meteor Crater (una gigantesca cavità provocata dalla caduta di un asteroide sulla terra, circa 50.000 anni fa) o a Winslow per scattare una foto al famoso corner cantato nel brano-simbolo degli Eagles, Take It Easy.

Da questo punto, fin quasi alla conclusione del viaggio, è la Historic Route 66 a dominare la scena. Anche quando, il giorno dopo, lasciata Kingman, si affronta una strada davvero insolita per il suolo americano: dopo centinaia di miglia di rettilinei a perdita d’occhio, ci si inerpica infatti su un nastro d’asfalto tortuoso, stretto e scivolso che, oltre il Sitgreaves Pass, porta fino a Oatman. Da queste montagne i pionieri potevano scorgere la piana del deserto del Mojave californiano, sentendosi ormai vicini alla agognata méta del loro viaggio. Ma prima, Oatman vale la pena di una sosta per fare un balzo indietro nel tempo e una carezza ai simpatici asinelli che popolano il paesino.
Da Oatman non resta che chiudere il cerchio. Ma serve un ultimo sforzo di volontà e resistenza fisica per affrontare la distesa infuocata del Mohave Desert. Aria bollente che scotta la pelle e brucia la gola. Da Laughlin fino a Las Vegas, che sancisce la fine del viaggio. Ma non certo della memoria, che come il volo dell’Aquila sul Grand Canyon, sempre veglierà sullo spirito di chi ha scelto di vivere le emozioni dell’Arizona.

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La Mappa

Stati

Nevada
Arizona
Utah

I numeri

  • 11 giorni
  • 8 giorni di noleggio moto
  • 1.520 Miglia (2.445 km) di percorrenza

Luoghi di interesse

Monumento 1

Monumento 1